Dicono che i momenti di crisi siano quelli che portano alla rinascita. Si spera davvero che per il calcio italiano l’affermazione abbia del fondamento, visto che nel ranking europeo ormai anche il Portogallo – approfittando della nostra debolezza – si sta preparando al sorpasso. Per questo, dopo gestito con poca oculatezza per quasi un ventennio le enormi risorse provenienti dal mercato televisivo, i club italiani provano a mettersi al passo imboccando decisamente la strada virtuosa da tempo intrapresa da Gran Bretagna, Germania e Spagna. La prima mossa – ed anche la più importante – riguarda gli stadi di proprietà, che sembrano essere la nuova frontiera per aumentare quei fatturati sempre più lontani dalle sorelle nobili d’Europa.
In Serie A il fermento è grande. La prima a muoversi è stata la Juventus (che non a caso è tornata ad essere da tre stagioni la regina del campionato), ma sulla sua scia in tanti si stanno muovendo, prime fra tutte l’Udinese e la Roma, in attesa che Milan, Inter e Napoli decidano quali vie imboccare.
Sullo Juventus Stadium poco da dire: impianto da quasi 42.000 spettatori sempre tutto esaurito, redditività sicura e indotto di posti di lavoro valutato in oltre il migliaio di unità. L’unico segnale di una crisi che continua a mordere, però, resta la questione del nome: a tre anni dalla sua nascita, neppure il club più popolare d’Italia è riuscito a trovare uno sponsor (sul modello Emirates) che si sia fatto carico di battezzare l’impianto.
Sulla falsariga della Juve si è mossa l’Udinese che, dopo dieci anni di trattative con l’amministrazione comunale, sta costruendo il nuovo stadio nello stesso punto del vecchio, giocando l’attuale campionato con qualche comprensibile disagio ma con la certezza che, da settembre, entrerà nella nuova casa da circa 25.000 spettatori.
Detto che il Sassuolo del patron Squinzi – presidente della Confindustria – ha acquistato per un milione di euro l’impianto di Reggio Emilia impiantando di fatto lì la propria sede sportiva, la nuova frontiera è rappresentata senz’altro dalla Roma. Nello stesso giorno in cui Obama sbarcava nella Capitale d’Italia per una attesissima visita ufficiale, James Pallotta, il presidente bostoniano del club giallorosso presentava in Campidoglio il progetto per il nuovo stadio di proprietà. La possibilità di costruire un nuovo impianto solo per il calcio, lasciando così l’Olimpico, è stato senza dubbio uno dei motivi per cui la cordata statunitense si è avvicinata al calcio italia. Il business, insomma, appariva chiaro. La differenza rispetto al passato, però, è rappresentata dallo sforzo economico previsto sulla carta. Il Comune di Roma, alle prese con gravissimi problemi di bilancio, ha detto chiaro fin dall’inizio che avrebbe dato il via libera al progetto solo se a carico della collettività non ci fosse stato neppure un euro per le indispensabili infrastrutture necessarie alla zona prescelta, Tor di Valle (bonifica dell’area, messa in sicurezza dalle esondazioni del Tevere, potenziamento delle strade di collegamento, raddoppio della linea ferroviaria e altro ancora). Risultato: Pallotta ha previsto investimenti privati per un miliardo di euro: 300 milioni per l’impianto e il resto per le opere pubbliche.
L’obiettivo sarebbe quello di inaugurare il nuovo stadio nel 2016, ma ragionevolmente già farlo nel 2018 sarebbe un successo, visto che per il calcio e la burocrazia italiana un’operazione del genere non si era mai vista ed in effetti i dettagli del progetto – a partire dai centri commerciali che lo affiancheranno – devono essere ancora illustrati all’amministrazione, così come il “business plan” coordinato dalla banca d’affari Goldman Sachs. Notato con curiosità come UniCredit, partner di Pallotta nella controllante della Roma al 31%, non parteciperà ai finanziamenti, è importante sottolineare come il club giallorosso abbia trovato già un socio d’eccezione per la New.Co che si occuperà dello stadio, la Nike, che avrà voce in capitolo nelle scelte commerciali. Non basta. Proprio per la realizzazione del nuovo impianto, Pallotta ha allargato il ventaglio dei soci alla Starwood Capital Group, azienda Usa che si occupa proprio d’investimenti privati, senza contare che alle porte del club bussa sempre la Hna del magnate cinese Chen Feng, interessato ad acquisire gran parte del pacchetto di controllo detenuto da UniCredit.
Come si vede, lo stadio muove interessi enormi proprio per le possibilità di sviluppo che offre. Per questo l’Inter di Thohir, il Milan di Berlusconi, il Napoli di De Laurentiis e la Fiorentina di Della Valle – risolti i contenziosi con i rispettivi Comuni – si muoveranno presto sulla stessa traccia. Tutti un po’ in ritardo, ma ciò che conta in fondo è arrivare.
Massimo Cecchini is a football writer for La Gazzetta dello Sport