Dall’entusiasmo alla “realpolitik”. Ovvero, come i padroni del calcio italiano – in tempi di lotta ad ogni forma di razzismo – hanno scoperto di non poter applicare regole autoprodotte perché i loro stadi risultano ingovernabili. La storia è nota. Sull’onda delle iniziative Uefa, ad agosto la Figc decideva di sanzionare duramente non solo i fenomeni di razzismo, ma anche quelli di “discriminazione territoriale”, definizione esistente nell’ordinamento dalla fine degli anni Ottanta. Non avevano però fatto i conti con gli ultrà, cioè quel pericoloso impasto tra passione, ideologia, ingenuità e delinquenza che domina le curve italiane. Insomma, se negli stadi si sta (faticosamente) arrivando ad accettare condanne per manifestazioni di razzismo, nella Patria delle feroci rivalità cittadine (non dimentichiamo che l’unità politica in Italia si è realizzata solo nel 1861, mentre quella socio-economica pare ancora un miraggio) è esploso un nuovo problema: quanto posso offendere il mio avversario in base alla sua città d’origine?
A due mesi dall’inizio del campionato, l’applicazione della norma ha già portato alla chiusura di tre curve (Milan, Inter e Lazio) e a sanzioni per sei club (quei tre più Juventus, Torino e Roma), prime tappe di un processo che, in caso di recidiva, porterebbe alla chiusura di tutto lo stadio, alla partita persa e addirittura alla penalizzazione in classifica. Inutile dire che tra le società si è sparso il panico, anche perché gli ultrà – in qualche caso addirittura federati – non hanno mostrato segni di ravvedimento. Anzi, consci del loro potere, hanno studiato piani di azione congiunta per dare un segnale chiaro: la norma va cambiata. Non a caso i cori sanzionati, finora, sono stati solo quelli contro i napoletani (“sporchi, puzzolenti, terremotati, colerosi, da lavare col fuoco del Vesuvio”), anche quando la squadra di Benitez neppure era l’avversario di giornata. I difensori delle Curve (dirigenti ma anche politici) si sono poi messi subito al lavoro sul piano filosofico-lessicale: ad esempio, cantando che le donne “romane sono puttane e i loro figli conigli”, si fa discriminazione territoriale oppure goliardia? I casi sono decine, così come i distinguo: se a urlare slogan discriminanti sono solo poche decine di persone è sufficiente per far scattare la sanzione? E perché devo punire la maggioranza dei i tifosi “normali” nonostante abbiano pagato l’abbonamento?
Il problema è serio, ma per un vizio di fondo: i club non hanno alcun controllo sulle loro curve dove vige la totale autogestione ultrà. I biglietti nominali con il posto assegnato – primo deterrente in caso di caccia al responsabile – sono infatti puramente simbolici perché ognuno si siede dove vuole, anche perché in quei settori non è concesso l’accesso agli steward pena tafferugli. Con queste premesse, nessuna meraviglia che a metà ottobre sia arrivata una prima modifica delle norme. In caso di violazione, adesso non scatta subito la chiusura del settore ma un “avvertimento” (un cartellino giallo), sempre che il coro sia stato “chiaramente udibile” e dando facoltà al giudice sportivo (che non invidiamo) di decidere in base a quello che gli viene riportato. Insomma, dalla certezza di una pena immediata si è arrivati a una probabilità. Ma così filosofeggia Maurizio Beretta, presidente della Lega di Serie A frena: “Non possiamo consegnare il destino delle squadre nelle mani di pochi irresponsabili”. Irresponsabili che il sistema ha sempre tollerato se non blandito. Non a caso un totem della panchina come Fabio Capello nel 2010 chiosava: “Il calcio italiano è in mano agli ultrà”. Il problema, però, è che nessuno ha davvero la volontà di toglierglielo. Col risultato di avere stadi sempre più blindati e sempre più vuoti.
Massimo Cecchini is a football writer for La Gazzetta dello Sport
ENGLISH TRANSLATION
Italy: An enthusiam for ‘realpolitik’
There is an enthusiasm for “realpolitik”. Italy’s football leaders – in times of combating all forms of racism – have discovered that they cannot apply their own rules because their stadiums are ungovernable.
The story is well known. In the wake of the UEFA initiatives, in August, the FIGC decided to punish severely not only acts of racism, but also those of “territorial discrimination” – a definition that has been in existence since the late eighties.
The authorities had not yet come to terms with the ultras and their dangerous mixture of passion, ideology, naiveté and delinquency that dominates the Italian stands. In short, if you are in the early stages of (painfully) coming to accept convictions for manifestations of racism, when it comes to the fiercest rivalries in the country towns (do not forget that the political unity of Italy was realised only in 1861 , while the socio-economic unity is still a mirage) you have exploded a new problem: how can I offend my opponent according to his city of origin?
Two months into the season, the application of the rule has already led to the closure of three stands (AC Milan, Inter and Lazio) and penalties for six clubs (those three plus Juventus , Turin and Roma), the first stages of a process that, in case of relapse, could lead to the closure of the whole stadium, games forfeited and even to the penalties in the standings.
Needless to say that panic has spread, because the ultras – in some cases they are even federated – have shown no signs of repentance. Indeed, conscious of their power, they have studied plans of joint action in order to give a clear signal that the rule should be changed.
It is no coincidence that the fans sanctioned, so far, have only been those against the Neapolitans (“dirty, smelly , earthquake , cholera , to wash with the fire of Vesuvius”), even when Benitez’s team was not even an opponent of the day. The defenders of the fans in the stands (but also political leaders) were then put to work immediately on the philosophical – lexical , for example , if women are singing “Romans are whores and their children rabbits “, is this discrimination or territorial student spirit ? The cases are dozens, as well as the distinctions: is shouting discriminatory slogans by only a few dozen people enough to trigger the sanction? And why should I punish the majority of the “normal” fans who have paid their subscription?
The problem is serious, but there is a a basic flaw: the clubs do not have any control over their stands where there is total dominance by the ultras . Tickets tie up with the assigned seat – the first deterrent in the case of hunting those responsible – but they are in fact purely symbolic numbers because everyone sits wherever he wants. And in many of these sectors there is no access for stewards – their entry only leads to fights.
With this in mind, no wonder that in mid-October came a change in the rules. In cases of violation, a process is now triggered that could lead not to the immediate closure of the field but a “warning” (yellow), provided that the chanting was “clearly audible”, and power then goes to the sports court (not an enviable task) to rule on the basis of what is reported. In short, the certainty of an immediate penalty has got to a chance of taking. But Maurizio Beretta, president of Serie A, philosophises: ” We can not put the fate of the teams in the hands of the few who are irresponsible.” It is irresponsiblity that the system has always tolerated if not coaxed. It is no coincidence that an icon of the bench such as Fabio Capello should say in 2010: “Italian football is in the hands of the ultras.” The problem, though, is that no one really has the will to take it away from them. The result will be more and more heavily policed and increasingly empty stadiums.
Massimo Cecchini is a football writer for La Gazzetta dello Sport