Le prime lacrime stanno già spuntando da occhi generalmente asciutti e abituati a sguardi ruvidi. Non siamo ancora arrivati a quella sorta di tassa sul lusso partorita dalla Francia del presidente Hollande, ma l’emendamento alla Legge di Stabilità presentato da Stefania Covello e Antonio Castricone, deputati del Partito Democratico, ha messo già in fibrillazione il calcio italiano.
La norma – a cui la Commissione Bilancio ha già dato il via libera col parere positivo del governo – prevederebbe l’introduzione di un’imposta del 15% sugli emolumenti che i calciatori (ma sarà proprio così?) versano ai loro procuratori a titolo di intermediazione per la cosiddetta “attività di assistenza”. “Non c’è nessun intento persecutorio ma solo la necessità di trasparenza in una materia che ha creato una serie infinita di contenziosi tra Agenzia delle Entrate e società professionistiche”, dicono i due firmatari della proposta.
Eppure, anche se la legge non ha ancora superato tutti gli ostacoli, qualcuno già ringhia: “Se vogliono rovinare il calcio italiano stanno facendo davvero tutto il possibile – ha detto Ghirardi, presidente del Parma -. Il nostro movimento è tra i primi contribuenti del Paese, dà lavoro a migliaia di persone e siamo tutti controllati da enti di certificazione. Certo, ci sono cose più importanti del calcio, ma ci vuole rispetto per chi investe. Se si va avanti così, questo sport in Italia finirà”.
In realtà la norma deve ancora essere interpretata fino in fondo. Il testo infatti recita: “Si considera il costo delle attività sostenute dalle società sportive professionistiche nell’ambito delle trattative aventi ad oggetto le prestazioni sportive degli atleti professionisti medesimi, nella misura del 15% al netto delle somme versate dall’atleta ai propri agenti per l’attività di assistenza”. Nella nebbia giurisprudenziale il senso parrebbe questo: fate come volete, l’importante è che paghiate, anche se nella lettura più ovvia la tassa in questione dovrebbe essere versata non dalle società bensì dai calciatori. E a questo punto, quale sarebbe il problema i club? Semplice: che in realtà gli atleti (o i loro agenti), anche in previsione di una interpretazione autentica della norma in un senso, a loro sfavorevole, difficilmente pagheranno questa tassa, limitandosi a chiedere alle società che si battono per avere i loro servigi: volete che giochi per voi? Bene, all’ingaggio aggiungete anche il 15% di tasse che dovrei versare al mio manager.
“Off record”, infatti, già parecchi dirigenti ammettono sconsolati: “Temo che finiremo per pagare noi di più, mentre i procuratori continueranno a portare i soldi delle loro commissioni all’estero, dove la tassazione è molto più vantaggiosa rispetto all’Italia”.
Verrebbe da chiedersi: ma in un sistema calcio che in Italia appare in piena decrescita, non converrebbe un patto tra club per contenere i costi evitando aste al rialzo anche sul fronte fiscale? Converrebbe di sicuro, ma una Lega incapace di esprimere una “governance” forte e riconosciuta, lo sport preferito dei dirigenti resterà sempre quello di strapagare l’atleta per bruciare i concorrenti. Non è un caso, infatti, che l’enorme cifra che i diritti tv hanno riversati nelle casse delle società negli anni d’oro, quelli della “Serie A campionato più bello del mondo”, sono stati impiegati solo per alzare gli ingaggi dei calciatori e non per creare infrastrutture solide in grado di resistere alle tempeste che sarebbero arrivate. Insomma, un mix di miopia e incapacità.
A questo punto perciò, con una Italia stremata dalla crisi economica, ha buon gioco Bruno Tabacci, membro della commissione Bilancio, a dire severo: “Vogliamo far pagare le tasse a chi tratta gli ingaggi milionari nello sport?”. Certamente, verrebbe da dire. Peccato che l’elettore italiano (che plaude alla norma) è anche lo stesso che nel fine settimana si arrampica sulle tribune dei nostri stadi vecchi e scomodi per insultare il proprio club perché non acquista i grandi campioni. E allora, quale delle due cose importa davvero? La risposta sembra ovvia, ma solo per chi non conosce bene l’Italia. Alle nostre latitudini si è davvero felici non se scuole e ospedali funzionano, ma se vince la nostra squadra del cuore. D’altronde, che cosa c’è di più facile che sentirsi importante e vincente grazie al calcio?
Massimo Cecchini is a football writer for La Gazzetta dello Sport