Tempo fermo. L’orologio del calcio italiano non si è mosso da quel triste ultimo 24 giugno, quando l’uruguaiano Godin ha rispedito subito a casa la Nazionale azzurra, togliendola di scena dal Mondiale in Brasile. In realtà sembrava che tutto dovesse cambiare in fretta. Pochi minuti dopo il fischio finale il commissario tecnico Cesare Prandelli rassegnava le sue dimissioni “irrevocabili”, seguito nel giro di una manciata di secondi da quelle del presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete. Insomma, si annunciava una rivoluzione a breve ed invece, in questo caldo luglio, nulla si è mosso. L’Italia continua ad essere senza allenatore e il calcio senza un numero uno. Tutto rinviato all’11 agosto, quando l’assemblea federale dovrà votare il nuovo presidente, che a sua volta sceglierà il commissario tecnico.
Ma il problema non è legato solo ai tecnicismi che hanno richiesto tempo per le procedure oppure alla decisione di far scegliere il nuovo allenatore al leader federale che verrà. La questione è legata alle prospettive, visto che il favorito per la poltrona presidenziale – a dispetto della decisa volontà di cambiamento che sale dall’opinione pubblica – è Carlo Tavecchio, rispettabilissimo signore di 71 anni, da 15 presidente della Lega Dilettanti e da 7 vicepresidente della Figc.
Intorno a lui si coagula il consenso, oltre che dei propri rappresentati, della maggior parte delle leghe di Serie A, B e di quella Pro. Ovvero, visto che il diritto di veto per l’elezione del presidente è stato cancellato, dalla terza votazione in poi (quando non occorrerà più una maggioranza qualificata) Tavecchio potrà essere eletto presidente.
Al momento, la situazione è così blindata che le altre espressioni del calcio italiano – cioè l’Associazione Calciatori e quella Allenatori – fanno fatica persino a trovare un candidato di bandiera, perché comprensibilmente nessuno vuole volontariamente immolarsi sull’altare della sconfitta. Non è escluso che alla fine Demetrio Albertini, ex stella del Milan e della Nazionale, vicepresidente federale (dimissionario) possa essere convinto a presentarsi, ma al momento corre in salita, nonostante ad alcuni club di Serie A come Juventus, Fiorentina e Napoli non dispiacerebbe stoppare la corsa di Tavecchio, che però gode del consenso forte di Milan, Lazio e dei piccoli club.
Ne consegue che ci si avvia d’un biennio di stasi (le prossime elezioni ci saranno nel 2016), visto che le riforme invocate a favore del calcio italiano (rose ridotte, potenziamento dei settori giovanili, squadre B dei club da inserire nei campionati minori, riduzione del numero delle squadre, più spazio all’attività delle Nazionali) non passerà mai per il veto di una Serie A interessata solo ai soldi dei diritti televisivi e a far quadrare i bilanci grazie anche a discutibili operazioni all’estero. In una parola: tutto ciò che succede anche adesso e che ha portato a far giocare in Serie A solo il 44% di italiani, portando così tanti problemi alla Nazionale.
L’ultima variabile è rappresentata dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (Coni), il cui presidente Giovanni Malagò è stato eletto dopo una campagna di opposizione alla Federcalcio, alla quale vuole tagliare parte dei finanziamenti. Con Abete il feeling è sempre stato scarso, nessuna sorpresa quindi che le dimissioni post-Mondiale gli siano state gradite. Il sogno proibito però sarebbe un altro: che il calcio l’11 agosto (e successivi rinvii) si spaccasse così tanto da non riuscire ad eleggere un presidente, rendendo perciò necessaria la nomina di un commissario da parte del Coni. Ipotesi difficile, perché è chiaro che quasi tutte le componenti federali, davanti al rischio di perdere il proprio potere, si coalizzeranno su un candidato che sia il meno sgradito possibile. Una specie di usato sicuro. E Tavecchio sembra essere proprio rispondere all’identikit in questione.
A quel punto si procederà alla scelta del nuovo allenatore della Nazionale. Tavecchio non vorrebbe più tecnici noti e costosi come Prandelli (o Allegri e Mancini, che corrono per prenderne il posto), impossibili da ingaggiare con meno di 4 milioni di euro lordi all’anno. Il desiderio del candidato in pole position sarebbe quello di rifondare la scuola federale (quella di Valcareggi, Bearzot, Vicini e Maldini) che crei un bacino a cui attingere automaticamente ad ogni sostituzione di allenatore. Per cominciare, quindi, a Tavecchio non dispiacerebbe gli economici Guidolin o Zaccheroni che facciano da tutor a un tecnico federale come Antonio Cabrini, attualmente allenatore della Nazionale femminile, che nel 2016 possa prendere le redini della prima squadra e dare il via ad una nuova catena interna.
Ipotesi suggestiva e rischiosa, ma che nella mente dei responsabili del calcio italiano al momento viene in secondo piano rispetto ai giochi politici per la presidenza federale. A pensarci bene, è difficile rimanerne sorpresi.
Massimo Cecchini is a football writer for La Gazzetta dello Sport